26 novembre 2012

Alice Munro, Troppa felicità.

Quando mi regalano un libro, specie se a regalarlo è un caro amico, il mio cuore di lettore si riempie di aspettative con cui riesco quasi a mettere da parte il mio ormai radicato (ma pur sempre sradicabile, basta volerlo) sospetto nei confronti della narrativa contemporanea, e in particolare dei racconti.
Non voglio qui soffermarmi sui motivi che mi hanno da tempo spinto ad abbandonare la fiction in favore della saggistica: si dica solo che, come sovente accade, i miei sospetti su certe tare della narrativa contemporanea (quel sapore di "già letto, grazie" e "siamo sicuri che ce ne fosse bisogno?") si rivelano non privi di fondamento allorquando giro l'ultima (più spesso la terzultima) pagina di un romanzo o di una raccolta di racconti.
Ma torniamo a Troppa felicità. Le prime pagine, fatalmente, mi catapultano indietro di alcuni anni, ai primi racconti di McEwan, un autore che ho divorato e amato fortemente ma che ultimamente non riesce più a stimolarmi; anzi, ad essere sinceri, sembra proprio una scopiazzatura del primo McEwan. Gli ingredienti ci sono tutti: personaggi ambigui, atmosfere cupe al limite del grottesco e, rullo di tamburi, un lieve senso di disagio nel procedere con la trama. Voilà: è sufficiente levare un istante gli occhi dalle pagine, ad onor del vero scorrevolissime, per essere persuasi di un fatto: il racconto che sto leggendo è un pretesto per creare una sensazione di imbarazzo, ansia e disagio nel lettore. Quasi un compitino da corso di scrittura creativa: non importa che succede riga dopo riga, ben poco valore hanno la psicologia e i tratti dei personaggi. La Munro riesce ad ottenere l'attenzione del lettore e a coinvolgerlo ma, al contempo, a creare un lieve ma persistente stato di ansia, quasi di fastidio.
Torniamo a McEwan. In questo genere è stato un maestro; non voglio dire uno dei primi ma, diamine!, rileggiamoci Primo amore, ultimi riti o Racconti fra le lenzuola o anche il romanzo breve Cortesie per gli ospiti (titolo magnifico sputtanato da quella congrega di lavativi della TV) o il capolavoro Il giardino di cemento: tra quelle pagine, di ansia, claustrofobia e angoscia ce n'era da portare via con il rimorchio, ma stiamo parlando di lui e di alcuni anni or sono. Già letto, grazie.
Sempre nel genere, è gradevole Bambinate, novella crudele e credibile, scritta bene ma conclusa in fretta. Peccato.
Non si sollevano di molto gli altri racconti: anzi, alcuni sprofondano nel parossismo o si trascinano inutili e sinceramente inconcludenti come Troppa felicità, farraginosa e dispersiva ricostruzione degli ultimi anni di vita di una matematica russa. Siamo sicuri che ce ne fosse bisogno?
L'intento di questa scrittrice era ed è probabilmente, come potete leggere nelle tante entusiastiche recensioni pubblicate in rete, quello di tracciare con maestria e abili pennellate un quadro impietoso delle nostre esistenze in tutte le loro sfumature e blablabla. Ma non funziona. Così come suona un po' patetico il tentativo di un'americana (anzi, meno: di una canadese) di sfoggiare una cultura "classica": ma l'approccio è goffo (da osteria la vulgata di Platone) e il risultato è più da Wikipedia che da liceo classico.


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Scheda del libro
Alice Munro, Troppa felicità.
2011, Einaudi Supercoralli
pp. 332
€ 20,00
ISBN 9788806200787
Traduzione di Susanna Basso

04 novembre 2012

Lo strano caso della palestra Sport Village, Torino.

Forse avrei dovuto insospettirmi maggiormente quando, alla mia richiesta del perché  l'acqua della doccia fosse fredda, un pomeriggio dello scorso luglio mi sono sentito rispondere, con candore: "E' fredda perché  abbiamo portato via le caldaie", come se tutti, prima o poi, nella propria vita, dovessero almeno una volta portare via una caldaia da un luogo dotato di spogliatoi e docce.

Ma partiamo dall'inizio, altrimenti chi legge non capisce nulla.
Immagine La Stampa
copyright La Stampa
La palestra Sport Village l'avevo scelta per allenarmi nel gennaio 2010, rientrato a Torino dopo 18 mesi vissuti a Venezia, per due motivi semplici: luogo (sulla strada tra ufficio e casa) e possibilità di parcheggio. Intendiamoci, c'era qualcosa di più. Era (adesso vediamo perché  uso il passato) una struttura discretamente attrezzata, molto spaziosa, recente (il che significa, in genere, meno muffa sulle pareti degli spogliatoi) e maschia. Si', maschia: una sala pesi che trasuda testosterone, pile di Muscle&Fitness vecchi di quindici anni e gente piuttosto ipertrofica: insomma, non un health club da fighetti, ma il posto giusto se hai voglia di allenarti senza perderti in chiacchiere.

Ed era un posto giusto. Tant'è  che per 3 anni ho rinnovato l'abbonamento annuale: 2010, 2011 e tutto il 2012, con scadenza, se ben ricordo, a gennaio 2013.

Ora, non voglio dire di essere un cliente fondamentale e nemmeno, con i miei 65 kg di peso, un testimonial efficace dell'immagine di Sport Village in giro per il mondo; ma un cliente si', pagante e per giunta in anticipo.
Per un paio di anni, anzi diciamo due e mezzo, le cose sono andate bene, anche se talvolta si verificavano cambiamenti. Negli attrezzi, ad esempio: apparivano e sparivano o venivano spostati, ma alla fine quelli che servivano c'erano, e quindi non ho mai fatto domande in giro. Anche negli allenatori, negli allenati e nel personale di segreteria e del bar; ma, lo ripeto, sono di poche parole e che il caffè lo facesse Tizio o Caio a me cambiava poco perché un caffè, al bar della palestra, io non l'ho mai bevuto.

Guai grossi non ne sono mai accaduti o, meglio, uno si', un fattaccio da nera, ma io non c'ero e nessuno me lo ha raccontato. L'ho letto in rete, due anni dopo, e mi e' pure dispiaciuto per lo spavento che si devono essere presi.

L'estate passata, parlo del 2012 ovviamente, nello spogliatoio e' apparso un foglio A4 con scritto CI SCUSIAMO PER I DISAGI CHE POTREBBERO VERIFICARSI NEI PROSSIMI GIORNI PER TRASFERIMENTO ATTIVITÀ , frase a dire il vero piuttosto generica, sia in termini di ambito (che tipo di disagi?) che temporali (prossimi giorni quanti?) e causali (cosa significa trasferire un'attività?), ma oltre a questo sintetico quanto collettivo appello alla pazienza degli iscritti, non sono stato coinvolto in alcun tipo di comunicazione specifica, ne' a voce ne' per iscritto. Sintetizzo: se qualcosa stava per succedere, a me non l'ha detto nessuno.

Allora ho chiesto. Che cosa sarebbe successo, l'ho chiesto ad un trainer maturo (tanto da meritarsi l'appellativo di maestro, titolo che gli riconosco) che mi ha risposto: "La palestra si sposta". Mi ha detto anche altre cose, ma qui non le scrivo perché, come dicevo poc'anzi, io sono uno di poche parole.
La palestra si sposta. Ecco qual era il recondito significato dell'espressione "trasferimento attività". Pero', di questo spostamento, a me nessuno ha informato ne' mi ha chiesto se ero d'accordo o se mi arrecasse disagio. Nada de nada. Alla faccia della customer relationship. Ma come, io ti pago in anticipo per l'erogazione di un servizio in un luogo da me scelto e tu nemmeno ti prendi la briga di controllare che sappia che alzi i tacchi e te ne vai da un'altra parte? Ti pare gentile e corretto?

Dalle chiacchiere sulle panche dello spogliatoio ho poi scoperto di non essere l'unico ad aver appreso fortuitamente di questo trasferimento ne' di averlo apprezzato ben poco. E qui veniamo alla mia seconda ed ultima doccia fredda presso lo Sport Village: stavolta in senso letterale poiché, come accennato all'inizio, le caldaie avevano preso il volo.

In capo a poche settimane di mia assenza (sia per i disagi evidenti che per le ferie), della palestra rimanevano l'insegna e un portone sbarrato. A conti fatti, avevo perso 5 mesi di iscrizione pagata. Telefoni staccati. Nessuno a cui chiedere spiegazioni. Pure la pagina Facebook, su cui ricordo di aver cliccato Mi piace, era sparita dal social network.

Ma un pomeriggio di agosto ho incontrato, proprio nei pressi del fu Sport Village, la titolare o, per lo meno, colei che credo gestisse la società (come detto, non vado in giro a chiedere visure camerali); due chiacchiere al volo, per manifestare garbatamente il mio disappunto e sconcerto, ricevere una imbarazzata giustificazione ("Ma come? Le ragazze non ti hanno detto nulla?" -- ma quali ragazze, mi chiedo io) e una formale rassicurazione: "lo Sport Village si sta trasferendo in un altro locale, presso il Palazzo della Moda, e sara' riaperto non prima di fine settembre, ma stai tranquillo, ti contatteremo per email o per telefono e potrai recuperare i mesi di abbonamento".

Il Palazzo della Moda e' un condominio adiacente al Novotel di Corso Giulio Cesare, quindi non lontano dalla precedente sede e, per me, non disagevole ne' scomodo dal punto di vista logistico. Una buona notizia, no?

No. Perché  da quel giorno sono passato due volte nella ipotetica nuova sede, e in giro non c'era l'ombra di un manubrio o di un asciugamano sudato. Ma c'erano baristi e portieri. Se volete informazioni, i baristi e i portieri sono le risorse più  preziose a cui potete rivolgervi: primo, stanno li' tutto il giorno con gli occhi aperti; secondo, ascoltano un sacco di discorsi, quindi state tranquilli che se c'e' una novità  nell'aria, loro sono i primi ad annusarla.

Ai primi di ottobre, la mia prima visita; il bar sta chiudendo, e una ragazza graziosa a cui chiedo se sa nulla di una palestra, mi risponde sorridendo divertita, come a dire: campa cavallo.

Non metto briglie al mio ottimismo e torno a fine ottobre. Questa volta chiedo in portineria, ma l'antifona non cambia: stesso sorriso, nessuna palestra. Anche altre informazioni, che qui non scrivo perché,  come noto, sono di poche parole. Una cosa pero' la posso condividere: pare che la palestra risorgerà si', ma in un'altra zona ancora, nota come Cebrosa. Ottimo, sulla strada per casa; una buona notizia, allora?

No. Perché al succitato complesso produttivo di palestra hanno sentito parlare ma nel senso che non si farà, fine della faccenda. E anche qui, nella risposta, un malcelato sorriso sardonico.

Fine, quindi. Cosi' pare. E già. Un'attività chiude senza avvisare i clienti (soci) paganti, e buonanotte.
In questa faccenda, io ho una colpa, che e' quella di essere di poche parole: difatti in oltre due anni di frequentazione non ho scambiato molte chiacchiere, ne' tanto meno email e numeri di telefono, con gli altri soci iscritti, per cui non ho potuto ne' posso contattare nessuno per avere aggiornamenti.

Cosa rimane alla fine di questa storia? Facciamo una breve lista:
1. una perdita economica per i mesi di servizio non fruito, non una fortuna, ma occhio e croce stimabili sui 120-130 euro
2. la percezione di essere stato considerato molto poco, come cliente e come persona
3. una forte disistima nei confronti del personale operativo e amministrativo
4. last but not least, LA domanda: perché  tutti coloro a cui ho chiesto dello Sport Village mi hanno risposto con un sorrisetto?

Ecco, questa e' proprio la fine della storia. Adesso devo cercare un altro posto in cui allenare i miei striminziti 65 kg e in cui portare un po' di soldi. Sperando di essere trattato un po' meglio , come cliente e come persona. Sperando che, all'improvviso, non spariscano ne' le caldaie ne' le persone.