12 settembre 2013

Carlo Verdone, La casa sopra i portici.

Canto fuori dal coro delle recensioni positive. Addirittura estasiate, commosse. No. Questo libro rafforza la mia convizione che gli attori, anche quelli bravissimi, non dovrebbero farsi tentare dall'ulteriore autocompiacimento di credersi grandi scrittori. Chi si ricorda Mal di parola di Vittorio Gassman? Terribile. Un polpettone superfluo, scritto con un atteggiamento saccente. E parliamo del grande Gassman.
Verdone non ne esce meglio. Sconfitto su tutta la linea, se non quella del profitto economico, probabilmente.
La casa sopra i portici risulta una sfilacciata collezione di ricordi: è esile e privo di mordente. Nonostante l'indiscutibile carisma e la popolarità di Verdone, che da soli dovrebbero essere un solido sostegno a questo progetto editoriale, il libro non riesce a coinvolgere il lettore nelle vicissitudini di una famiglia importante e di un'epoca straordinaria, che avrebbero meritato un narratore, se non un biografo, di altra caratura. Non è un romanzo, non sono racconti e nemmeno sketch, genere nel quale Verdone dà il meglio di sé. Ed infatti le uniche parti gustose sono i racconti della preparazione di sketch per teatro e cinema. Ma per il resto, poche paginette che si leggono in tre ore, chiedendosi il perché di questa superficiale operazione della memoria. Pazienza.

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