22 gennaio 2017

Due polizieschi italiani.

Ho sospeso momentaneamente i saggi e le letture sulla Corea del Nord per svagarmi con due titoli italiani nel genere giallo/poliziesco. Ecco i miei due cent.

Claudio Paglieri, Domenica nera.
Premio Bancarella 2008, il giornalista genovese affida al suo commissario Luciani una  indagine su frodi e illeciti calcistici che inizia con un suicidio molto sospetto. La storia è narrata benino, e l'autore dà il meglio di sé negli aspetti più giornalistici della vicenda, come quando dà la parola al cronista Baffigo o entra nei dinamiche della procura. Da genovese e concittadino dell'autore, ho trovato una scelta pigra e provincialotta ambientare la storia proprio a Genova. La narraziuone -- ahimè -- scade decisamente nelle tante scene di sesso (perché in ogni giallo il detective deve sempre rimorchiare la bellezza di turno per me resta un mistero), crude e stereotipate, più vicine ad una sceneggiatura di Brazzers che a un romanzo di James Ballard. Che peccato.


Piero Colaprico, Pietro Valpreda, La nevicata dell'85. 
Scritto a quattro mani dal giornalista milanese esperto di Tangentopoli e dall'anarchico Valpreda , questo gustosissimo episodio della serie Pietro Binda regala bellissime atmosfere di una Milano di trent'anni fa, facendo tornare alla memoria i noir di Scerbanenco. Il protagonista, ex maresciallo dei carabinieri in pensione e investigatore privato, porta avanti un'indagine su misteriosi decessi di anziani, e per farlo si avvale di una galleria di pittoreschi personaggi degni di Agatha Christie. Come la spessa coltre di neve che fa da sfondo alla vicenda, in questo romanzo romanzo tutte le cose sono nascoste e coperte, e niente è come appare a prima vista. Magistralmente scritto

03 gennaio 2017

Letture sulla Corea del Nord.

Ultimamente mi sono appassionato della vita e delle vicissitudini della Corea del Nord. Un interesse nato tempo fa in occasione di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera per recensire "Fuga dal campo 14"; anche la Stampa ha pubblicato un articolo in merito; ho iniziato proprio da questo volume e ho poi approfondito con "Il signore degli orfani", premio Pulitzer del 2013.

Blaine Harden , Fuga dal campo 14
Al centro dell'attenzione mediatica sia per il tema trattato (la fuga di un ragazzo nato e cresciuto in uno dei più duri campi di detenzione del regime di Pyongyang) che per il dibattito sulla veridicità dei fatti narrati, "Fuga dal campo 14" è un libro eccezionale, dotato di una grande forza narrativa, scritto (e tradotto) molto bene dal giornalista Blaine Harden sulla base delle testimonianze di Shin Dong-hyuk, un ragazzo nato in un campo di detenzione da un fugace rapporto tra due detenuti (peraltro imprigionati senza aver commesso personalmente un crimine), cresciuto tra fame, freddo, lavori forzati e torture spietate, in un ambiente che premia la delazione, privo di sentimenti fondamentali quali la lealtà, l'amicizia, l'affetto o la compassione; dopo aver tradito la madre nella speranza di ottenere un premio, e aver assistito alla sua pubblica esecuzione, Shin Dong-hyuk riesce ad evadere dal campo e, affrontando nuovamente la fatica, il freddo e la fame, inizia una nuova vita da persona libera prima nella Corea del Nord, quindi nella Corea del Sud dove ottiene l'asilo politico ma non riesce ad integrarsi nella competitiva e materialista società sudcoreana. Infine si trasferisce in California dove, dopo un lungo percorso interiore per imparare la fiducia e la lealtà, contribuisce con interviste alla scrittura del libro e tiene conferenze per sensibilizzare l'inerte e sonnolente opinione pubblica sulle condizioni vergognose delle migliaia di detenuti nei campi di prigionia del regime più autoritario e chiuso del mondo.


"Il signore degli orfani"
Concepito come una lunga narrazione in due parti, questo romanzo, la cui sinossi si trova in rete, si articola intorno alle vicende del protagonista e delle sue molte vite, da agente governativo addetto al rapimento di cittadini giapponesi e sudcoreani a prigionerio politico a impostore e stretto collaboratore del caro leader. Un libro, sia detto, lunghissimo e non facile, ma senz'altro coinvolgente per le descrizioni minuziose e crude delle condizioni di vita in Corea del Nord, dalle condizioni priviligiate delle elite di Pyongyang alle torture agghiaccianti nei campi di detenzione dove i prigionieri sono spesso utilizzati come banche  (viventi) del sangue e di organi alla fame, dalla malnutrizione delle campagne al rapporto di forza con i governi occidentali e gli USA. Qulache raro momento di bellezza e di generosità non riescono a distogliere l'attenzione del lettore dalla strisciante ed inumana crudeltà di molta parte della società nordcoreana.

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Che cosa accomuna questi due importanti libri? Due concetti principali.


  1. Il primo è il velo (finalmente) squarciato sulla situazione di questo anacronistico, pervasivo, autarchico, spaventoso regime totalitario: due documenti che descrivono, grazie alla testimonanza diretta degli autori, come veramente sono costretti a vivere i sudditi del caro leader e fanno percepire vividamente al lettore la paura costante, la fame, il freddo, la forza della propaganda, il ruolo della tortura e dell'intimidazione come strumenti di controllo della popolazione e di affermazione del potere. La Corea del Nord è un Paese culturalmente e tecnologicamente arretrato, uno stato in cronico deficit alimentare, tanto che i suoi abitanti sono meno sviluppati fisicamente ed intellettualmente dei sudcoreani; è un regime che nega ai suoi sudditi, controllati in ogni movimento e terrorizzati dalla delazione, qualunque diritto e libertà elementare che sono dati per scontati nella maggior parte dei Paesi.
  2. Il secondo è la percezione della situazione nordcoreana tanto a Seul quanto nei Paesi occidentali: in primis sono in pochi a conoscerne anche superficialmente la situazione; ma vi è di più: sono in pochissimi ad impegnarsi concretamente per un cambio di direzione del regime di Pyongyang. Perché le Nazioni Unite, gli USA, l'Unione Europea -- notoriamente impegnati nei luoghi remoti del mondo, dal Medio Oriente al Sud Est Asiatico all'Africa centrale -- non intervengono mai, nemmeno a parole, in Corea del Nord? Perché, in fin dei conti, un contrasto con la Corea del Nord o, peggio, una sua riunificazione con la Corea del Sud non sono ritenuti né profittevoli né tantomeno auspicabili. Si preferisce fare ironia sui tic di Kim Jong-un o stigmatizzare con una battuta l'arretratezza della Corea del Nord piuttosto che prendere la situazione sul serio. In fin dei conti 20 milioni di persone affamate, impoverite, prive di istruzione e indementite da decenni di propaganda non sembrano un buon affare per nessuno. Non lo sono con la Cina, che già deve fronteggiare i (pochi) clandestini, non lo sono di certo per la Corea del Sud che non vuole rinunciare per alcune motivo  al benessere costruito negli ultimi 20-30 anni , e nemmeno vuole condividerlo. Per capire l'impatto di una ipotetica riunificazione delle Coree sarebbe sufficiente ricordare la riunificazione della Germania Est e Ovest, e moltiplicarlo per cento, in un contesto economico globale sicuramente meno in espansione rispetto alla fine degli anni 80.